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Io sono anaffettivo LIVE


Il testo di Gianluca Moiser, che si è classificato al terzo posto al Secondo Premio di Drammaturgia Scart Drama - Gatto rosso 2013, con i suoi graffianti paradossi illumina impietosamente tante piccole e grandi ipocrisie, tante pose, tanta superficialità con cui tutti abbiamo a che fare ogni giorno.

Alla maniera di Jonathan Swift, di cui raccoglie il testimone, l'autore critica con ironia la società mostrandone le contraddizioni spaziando tra  letteratura, amicizia e famiglia, senza trascurare l'ammore.

L'anaffettivo ha facce, voci, atteggiamenti diversi: lo interpretano Miriam Rebecchi, Anna Galimberti, Marilena Marmo, Gianluca Moiser, Isabella Castellini e Manuel Zulian. Gli attori, che ora ci voltano le spalle ora ci guardano negli occhi, ci sfidano  a non restare indifferenti.

Non si può fare a meno di ridere, ma al termine della visione si rimane forse qualche secondo a riflettere: gli anaffettivi siamo noi? E attenzione al rilevatore di affettività: l'esito potrebbe essere sorprendente.


Guarda i video degli spettacoli   pubblicati su yotube

https://www.youtube.com/watch?v=R2mU6LJi0K0

https://www.youtube.com/watch?v=bkkqesN0Ozg

 

Patrizia Garofalo. Io sono anaffettivo Compagnia teatrale

"Gente Assurda", sceneggiatura e regia Gianluca Moiser


            

 "Il riso chiede una sorta di sospensione del legame di simpatia

che ci lega a colui di cui ridiamo"

(Bergson, Il riso)


La preparazione della scena avviene al momento, montata quasi per

caso, improvvisata; un bancone di quelli da bar, gli sgabelli alti e

strane scatole di cui è sconosciuto il contenuto, gli attori

indossano pantaloni neri e maglietta bianca con la scritta

"IO SONO ANAFFETTIVO". Le luci solo e sempre sul personaggio,

sull'attore, sull'uomo e sulla donna, sul volto in particolare,

quasi ad uno specchio che trattenga luce e verità. E, dall'incipit:

"Malgrado le apparenze non sono uno di voi" al finale:

"Io non ci casco, io sono an-naf-fet-ti-vo", la tensione

attoriale è alta, mentire non è facile e far ridere ancora meno.

Eppure ci si diverte, si ride e di gusto ad una realtà

denunciata sottoriga dalla serietà dei protagonisti

fortunatamente affetti dai non-affetti "...l'anaffettivo

vive bene, vive libero, è realizzato". Che caspita! Cosa se

ne farà mai un morto dei fiori? E ...profondamente

commossi? Ma quale commozione! Ci vedevamo sì e no

per dirci buongiorno! "I colleghi prendono atto del decesso...

sobrio pulito e sincero. Proprio così". E così il primo

monologo inizia dalla morte e lentamente ma con

fierezza ne seguono altri ad indicare il percorso dell'anaffettivo...

liberazione dall'odio e dall'amore, l'allontanamento

dalle passioni. Oscurare il cannocchiale

suggerisce l'autore... allontanarlo dalla realtà che,

se vicina, fa male... suggeriva Pirandello.

E intanto scorrono notizie, dai bambini soldato

ai diritti violati dei minori... voce forte, fuori campo,

un'eco metallica, alla fine imbarazzata... "I bambini hanno

sempre giocato a fare la guerra". Chi parla

inforca un paio di occhiali scuri. Per l'intera

rappresentazione lo sguardo dei personaggi non

è mai scambievole, nessuno guarda l'altro neanche

quando si passano i libri delle fiabe, piuttosto

riflettono con troppo ostentata convinzione sul

percorso liberatorio che dovrà compiere l'anaffettivo.

E così diventano oggetto di riso sia il povero

e "affettuoso" pastore che nutrì Edipo sia il grido

disperato di Andromaca e le fiabe, castelli creati a

suggerire pianti e commozioni e a scomodare

cacciatori contro i lupi cattivi, ad assolvere

i sette nani che custodivano "un ricercato dalle

massime autorità" e il tutto in nome della

condivisione, dell'empatia; e gli psicologi la

curano pure quest'emotività quando non c'è ma...

accidenti! Il tempo delle battute, dei brevi

monologhi è dosato con sapienza e gli attori

convincono nel loro appropriarsi della

scena e smantellare la demarcazione tra teatro

e vita, quella del pubblico coinvolto dai braccialetti

rilevatori che verranno distribuiti; una

recitazione da professionisti, empatica

nell'anaffettività oserei dire, e così, semplicemente,

viene da abbracciarli e dire che no, non è

vero quello che dicono e che la verità è lì

dentro gli scatoloni, e guardarne con loro, il

contenuto. Viene da dire grazie delle risate

e delle loro parole che smitizzando l'affettività

ed esaltando il suo contrario si è fatta carico

della sofferenza del mondo e del suo non-detto.                          

                                                                                                                                                                                                                                                                                (da 'l Gazetin, febbraio-marzo 2015)


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